Elmer Snowden: Il ritorno di una voce dimenticata

Il pioniere nell’ombra del jazz moderno

Nato il 9 ottobre 1900 a Baltimora (Maryland), Elmer Chester Snowden fu uno dei protagonisti silenziosi della storia del jazz.
Banjoista, chitarrista, capobanda e talent scout, la sua parabola artistica attraversa l’età d’oro del jazz dagli anni ’20 fino al revival degli anni ’60, lasciando tracce profonde ma spesso invisibili.

Pur non essendo ricordato come Duke Ellington o Count Basie, Snowden fu l’uomo che letteralmente, mise insieme i Washingtonians, la band da cui nacque la leggenda ellintoniana.
Come molti pionieri, la sua vita fu un intreccio di successi, disillusioni e riscoperte tardive.

Dalle strade di Baltimora a Washington, D.C.

Cresciuto in un contesto modesto, Elmer mostrò fin da ragazzo un talento multiforme. Oltre al banjo, padroneggiava la chitarra e persino strumenti a fiato.
A soli quattordici anni, già si esibiva in piccole formazioni di Baltimora, tra cui quella del pianista Addie Booze.

Il suo trasferimento a Washington, D.C., nei primi anni ’20, segnò la svolta. In breve divenne un punto di riferimento della scena locale e fondò un’orchestra che avrebbe segnato la storia del jazz:
i Washingtonians.

ELMER SNOWDEN – Illustrazione di Silvana Orsi – diritti riservati

 I Washingtonians: dove tutto ebbe inizio

Nel 1923 Snowden portò la band a New York, città in fermento durante la “Jazz Age”.
Tra i membri spiccava un giovane Duke Ellington, che di lì a poco avrebbe preso la direzione del gruppo dopo un dissidio interno legato a questioni economiche. Quel passaggio segnò uno spartiacque: Snowden fu l’artefice dell’ensemble, ma il nome dei Washingtonians divenne per sempre legato a Ellington.

L’epoca d’oro: Harlem e la febbre degli anni ’20

Negli anni seguenti Snowden si impose come uno dei più attivi bandleader della scena newyorkese.
Gestiva fino a cinque formazioni contemporaneamente, e dalle sue file passarono futuri giganti come Count Basie, Jimmie Lunceford, Bubber Miley, Benny Carter, Roy Eldridge, Chick Webb e Rex Stewart.

Apparve anche nel cortometraggio Smash Your Baggage (1932), una testimonianza vivace della vitalità del jazz di Harlem. Ma la fortuna fu effimera: con il declino del banjo e l’ascesa della chitarra elettrica, Snowden vide progressivamente ridursi le opportunità di registrazione.

Il silenzio e la rinascita

Trasferitosi a Filadelfia dopo un contrasto con il sindacato dei musicisti di New York, Snowden si dedicò all’insegnamento.
Tra i suoi allievi figurano il pianista Ray Bryant, il bassista Tommy Bryant e il sassofonista Sahib Shihab. Per decenni il suo nome scomparve dal panorama jazzistico: nel 1959 lavorava come parcheggiatore. Fu il DJ e critico Chris Albertson a riscoprirlo, offrendogli l’opportunità di tornare in sala d’incisione.
Nel dicembre 1960, per la Riverside Records, Snowden registrò Harlem Banjo! con Cliff Jackson (piano), Tommy Bryant (basso) e Jimmy Crawford (batteria).
Nello stesso anno incise con Lonnie Johnson l’album Blues & Ballads (Prestige/Bluesville), seguito da Blues, Ballads and Jumpin’ Jazz. Nel 1963 partecipò al Newport Jazz Festival, poi si trasferì in California, dove insegnò all’Università di Berkeley. Nel 1967 intraprese un tour europeo con il Newport Guitar Workshop. Tornò infine a Filadelfia, dove morì il 14 maggio 1973.

Lo stile e l’eredità

Snowden prediligeva il banjo tenore accordato in sol, con la corda più bassa (low G), una scelta che gli conferiva un suono più rotondo e “chitarristico”.
Il suo tocco era deciso ma narrativo: non spettacolare, bensì evocativo. Nei suoi assoli si percepisce una “voce storica”, un legame diretto con il linguaggio del jazz primitivo.

Il suo stile univa la pulsazione ritmica dell’“hot jazz” a una sottile modernità armonica, precorrendo la sensibilità swing. Le trascrizioni moderne, raccolte in The Swinging Solos of Elmer Snowden (Cynthia Sayer Archive), mostrano un musicista capace di fondere rigore tecnico e libertà improvvisativa.

Ascoltare per ricordare e comprendere meglio questo musicista:

Harlem Banjo! (Riverside, 1960)

Un ritorno trionfale dopo decenni di silenzio discografico. In questo album, Snowden rivisita il repertorio swing degli anni ’20 e ’30 con una formazione che include Cliff Jackson al piano e Tommy Bryant al contrabbasso. Brani come “It Don’t Mean a Thing (If It Ain’t Got That Swing)” e “C-Jam Blues” evocano l’epoca Ellingtoniana, ma con una freschezza ritmica che non è semplice revival: è memoria viva, suonata con grazia e vigore.

In “Twelfth Street Rag” e “Tishomingo Blues” il banjo diventa strumento narrativo, capace di swingare con leggerezza e profondità. Un disco che restituisce dignità e centralità a un protagonista dimenticato del jazz delle origini.

Blues & Ballads – con Lonnie Johnson (Prestige/Bluesville, 1960)

Un incontro tra due maestri: Snowden alla chitarra acustica e Lonnie Johnson alla voce e chitarra elettrica. Registrato al Van Gelder Studio, questo album è un dialogo intimo tra blues e ballata, tra malinconia e grazia. Snowden non registrava dal 1934: qui si mostra come accompagnatore empatico, capace di dare respiro e sostegno alla voce dolente di Johnson.

“Elmer’s Blues” è una gemma autobiografica, mentre “Back Water Blues” e “Savoy Blues” rivelano la profondità emotiva di un blues che non cerca effetti, ma verità. Un disco da ascoltare in silenzio, come si ascolta una confessione.

Blues, Ballads and Jumpin’ Jazz (Prestige, 1961)

Registrato nella stessa sessione del disco precedente ma pubblicato più tardi, questo volume aggiunge brani più vivaci e swinganti. “Lester Leaps In” e “C-Jam Blues” mostrano il lato più giocoso del duo, mentre “Stormy Weather” (in due take) è un esempio di come la malinconia possa essere declinata con eleganza.

“I Ain’t Gonna Give Nobody None O’ This Jelly Roll” è puro divertimento, mentre “Careless Love” e “Birth of the Blues” offrono una sintesi perfetta tra tradizione e sensibilità moderna. Snowden qui è più che un accompagnatore: è co-protagonista di un racconto musicale che attraversa il blues e lo swing con leggerezza e profondità.

Smash Your Baggage (1932, cortometraggio – reperibile su YouTube)

Un cortometraggio Vitaphone di 9 minuti, ambientato in una stazione ferroviaria dove un gruppo di redcaps afroamericani mette in scena uno spettacolo per raccogliere fondi. Snowden guida l’orchestra, affiancato da giganti come Roy Eldridge e Sidney Catlett. Il film è un documento prezioso dell’Harlem Renaissance, con numeri di danza acrobatica e un’energia contagiosa.

la voce ritrovata del jazz delle origini

Elmer Snowden fu molto più che un comprimario della storia del jazz, fu un costruttore di ponti tra generazioni, un instancabile artigiano del suono afroamericano, capace di attraversare mezzo secolo di trasformazioni musicali restando fedele alla propria voce.

Chris Albertson, che lo riportò in studio, disse di lui:

“Snowden suonava come se raccontasse la sua vita, corda dopo corda. Ogni nota era un frammento di memoria.”

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