Il leggendario batterista della Count Basie Orchestra che trasformò il ritmo in arte.
Le origini di un innovatore del ritmo
Jonathan David “Jo” Jones nacque il 7 ottobre 1911 a Chicago, in una famiglia afroamericana proveniente dal Sud degli Stati Uniti.
La madre, sarta e cantante nella chiesa battista locale, gli trasmise presto il senso del ritmo e del canto corale.

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Durante l’adolescenza ad Alabama City, Jo imparò tromba, sassofono e pianoforte, strumenti che lo aiutarono a sviluppare una concezione melodica del suono.
Questa sensibilità “armonica” gli permise, una volta dietro la batteria, di suonare come un orchestratore, non come un semplice accompagnatore.
I “medicine show”: la scuola popolare del ritmo
Negli anni ’20, Jones lavorò nei medicine show, spettacoli itineranti diffusi negli Stati Uniti rurali.
In queste fiere di paese, artisti e musicisti intrattenevano il pubblico mentre venditori ambulanti promuovevano elisir e rimedi “miracolosi”.
Lì Jones imparò a comunicare col pubblico, a creare groove con mezzi minimi e a usare la batteria come strumento narrativo.
Come ricordò in un’intervista a DownBeat Magazine (1976):
“Dovevi saper far ballare la gente anche se avevi solo un tamburo e un piatto.
Lì ho imparato che il ritmo è vita.”
Questa esperienza, vissuta ai margini del sistema musicale ufficiale, fu la palestra ritmica e teatrale che lo preparò al jazz moderno.
Kansas City e la rivoluzione dello swing
All’inizio degli anni ’30, Jones si trasferì a Kansas City.
La città, viva di locali, jam session e big band, ospitava figure leggendarie come Count Basie, Lester Young e Walter Page.
Con loro, Jones formò la celebre sezione ritmica Basie–Page–Green–Jones, che avrebbe ridefinito lo swing:
una macchina elastica, precisa ma mai rigida, in cui il tempo galleggia anziché marciare.
Il repertorio alterna standard immortali come Sweet Georgia Brown, Embraceable You e I Got Rhythm (presentato in due versioni complementari), a brani originali di Ray Bryant come Little Susie e Bebop Irishman, che aggiungono un tocco moderno e personale. L’interplay tra i tre musicisti è raffinato e misurato: Jo Jones, già colonna ritmica dell’orchestra di Count Basie, qui si rivela colorista discreto e narratore ritmico; Ray Bryant intreccia gospel, blues e swing con fraseggi fluidi e cantabili; Tommy Bryant sostiene con precisione e calore, completando il tessuto sonoro con discrezione.
Jo Jones Trio è più di una raccolta di brani: è un documento di equilibrio e intimità, dove ogni nota sembra respirare con naturalezza. Un disco che non cerca l’effetto, ma la profondità, e che ancora oggi conserva il suo fascino per chi ama il jazz nella sua forma più pura e colloquiale.
Dal “timekeeper” al musicista completo
Nel jazz delle origini, il batterista era considerato un semplice “timekeeper”: colui che “tiene il tempo”.
Jo Jones ribaltò questo paradigma.
Spostò il tempo principale sul charleston (hi-hat), chiudendolo con grazia sul secondo e quarto movimento.
Alleggerì la grancassa, “accarezzandola” appena (“feathering the bass drum”).
Usò i piatti come strumenti melodici, capaci di respirare con l’orchestra.
Con questa rivoluzione, il batterista divenne parte del dialogo musicale, non più un metronomo umano.
Il suo suono era dinamico, fluttuante, profondamente umano.
Un carattere forte e generoso
Jo Jones era noto per il suo temperamento vivace: ironico, polemico, ma sempre animato da profonda dignità artistica.
Combatté il razzismo del mondo musicale americano e difese con fierezza la cultura afroamericana.
Celebre un episodio durante una jam a Kansas City:
un giovanissimo Charlie Parker suonò fuori tempo, e Jones gli lanciò un piatto ai piedi, un gesto teatrale, non violento, che Parker ricorderà come una lezione di umiltà e disciplina.
Dietro quell’energia, però, si nascondeva un maestro generoso: Max Roach, Kenny Clarke, Elvin Jones e Tony Williams riconobbero in lui una guida spirituale e tecnica.
Gli anni maturi e la trasmissione del sapere
Dopo aver lasciato la Count Basie Orchestra nel 1948, Jo Jones divenne un musicista freelance e un insegnante ricercato.
Collaborò con Billie Holiday, Teddy Wilson, Illinois Jacquet e Lester Young, registrando album da leader che mostrano il suo stile sottile e cantabile.
Negli anni ’60 e ’70 si dedicò all’insegnamento e alle masterclass, anticipando la figura del moderno batterista-educatore.
Morì a New York il 3 settembre 1985, lasciando una traccia indelebile nella storia del jazz.
Per concludere questo nostro breve racconto, su questo musicista fondamentale per la storia ritmica della musica americana, credo sia interessante proporvi una sua citazione nella quale è racchiusa l’anima del suo peniero:
“Non basta tenere il tempo. Devi farlo respirare, danzare e vivere.”
Jo Jones
Fonti e riferimenti
- Leonard Feather – The Encyclopedia of Jazz, Horizon Press, 1960.
- Lewis Porter – Jazz: From Its Origins to the Present, Oxford University Press, 1997.
- Alyn Shipton – A New History of Jazz, Continuum, 2001.
- Al Stanley – Jo Jones: The Master Drummer, DownBeat Magazine, 1976.
- Papa Jo Jones: The Drummer’s Drummer, Modern Drummer Magazine, 1982.
- Smithsonian Jazz Oral History Program – Interview with Jo Jones, 1978.
- The Complete Decca Recordings, Count Basie Orchestra (1937–1939).